In questa campagna elettorale il Partito liberale radicale promuove la ragione quale strumento del fare politica. La scuola pubblica è l’ambito più adatto per applicare questa scelta in un periodo in cui prevale l’emozionalità. Dalle lettere ai giornali, dalle discussioni con i genitori (ho sei figli), dalle assemblee dei genitori, dall’esperienza di capo dicastero scuola nel mio Comune, dagli incontri con i docenti ho rilevato un malessere palpabile: quasi nessuno è soddisfatto della situazione attuale della scuola. Penso che sia un sentimento diffuso e condiviso, al quale bisogna dare risposte positive, non negando la realtà, ma affrontandola anche con umiltà e soprattutto con apertura all’ascolto delle ragioni e anche dei sentimenti di chi vive questo disagio nella scuola. Gli studi PISA sulle competenze dei nostri studenti hanno misurato un aspetto di questo malessere: legittimo preoccuparsi, perché è in gioco il futuro dei nostri figli e la capacità del nostro Paese di creare opportunità per loro. A questo dobbiamo puntare con la ragione. La scuola pubblica merita questo nostro impegno.
V’è chi sarà sorpreso che sia io a sostenere questo, essendo io anche un fautore della scuola privata. Ma la scuola privata è un piccolissimo tassello nel sistema educativo ticinese: se la scuola pubblica, alla quale la grande maggioranza dei ticinesi tiene e dà fiducia, non funziona o è confrontata con seri problemi, il Paese non cresce e non progredisce. Per questo è necessario un impegno rinnovato e accresciuto per la scuola pubblica, che è la scuola di quasi tutti. Il politico che si fonda sulla ragione non ha dubbi in proposito.
Occorrono nuove idee e nuovi progetti per correggere e migliorare la scuola pubblica. Quali? Il docente deve tornare ad essere il fulcro dell’istruzione e dell’educazione scolastica; non solo docente, ma anche maestro. Va valorizzato e migliorato il sistema di rimunerazione (il docente non è un funzionario) e di carriera (non solo verticale ma anche orizzontale); va riconosciuta maggiore libertà e responsabilità al suo ruolo. Occorre invertire la dinamica: il docente non deve continuare ad essere un esecutore di metodi e ricette pensate da altri (pedagoghi, didattici, scienziati dell’educazione). Prima l’insegnante, poi gli esperti, insomma. Mobilità tra docenti e sedi, valorizzazione del know how dei docenti over 50 in altre nuove funzioni all’interno delle sedi scolastiche.
La professione deve tornare ad essere attrattiva per chi la svolge e soprattutto per i giovani. Per questo vanno rivisti tutti gli ostacoli inutili di entrata, tipo esagerati percorsi di guerra per l’abilitazione o salari assolutamente non attrattivi rispetto a ciò che offre il privato aziendale a neolaureati o a neodottorati. Sono auspicabili budget globali per ogni sede scolastica, in particolare direzioni a tempo pieno per ogni sede; per le scuole medie più affollate andrebbero prospettate a lungo termine sedi scolastiche più piccole, meglio distribuite, con messa in rete delle diverse sedi distrettuali con una direzione unica a tempo pieno. Decentramento del potere dagli uffici dipartimentali agli istituti scolastici.
I genitori devono essere una parte complementare e attiva del processo scolastico assieme alle associazioni sportive, culturali; dobbiamo fare rete con tutti coloro che extrascolasticamente hanno a cuore l’educazione dei giovani. Non essendo esperto né di didattica né di pedagogia mi attengo a provvedimenti «materiali» che da come percepisco la realtà potrebbero rimotivare e rilanciare la scuola pubblica.
Certo, queste proposte costano, ma se vi è un settore nel quale i soldi pubblici saranno ben investiti è proprio quello della scuola, visto che negli ultimi 15 anni il budget della scuola propriamente detta è cresciuto solo di 40 milioni di franchi, mentre quello complessivo del DECS è aumentato di ben 254 milioni. Chiudo con una citazione insospettabile. Gianluigi Bersani, leader del Partito democratico in Italia, ha detto che una scuola pubblica inefficace e di dubbia qualità ruba il futuro ai giovani. Con la ragione, senza pregiudizi e senza paure, vediamo di restituire questo futuro ai nostri giovani. C’è molto da fare.
Articolo nel Corriere del Ticino
del 2 dicembre 2010
di Sergio Morisoli, economista