In effetti, premesso che la scuola ticinese è senz’altro di buon livello, ci sono a mio avviso ben altre questioni che meritano di essere affrontate con una certa priorità.
1) La scuola deve fornire un efficace orientamento professionale, deve cioè essere in grado di conciliare le inclinazioni di ciascun allievo con un realistico futuro nel mondo del lavoro. In Ticino, malgrado l’elevata percentuale di liceali (la più alta in Svizzera), il tasso di disoccupazione giovanile è quasi doppio rispetto alla media nazionale. Troppo spesso il liceo diventa una provvisoria risposta all’incertezza, un’alternativa alle scuole professionali, ritenute «umilianti» da troppi ragazzi, genitori e pure da qualche orientatore scolastico. Non sono rari i casi di forzature nell’assegnazione delle note per consentire a un allievo di frequentare il liceo, malgrado non abbia né la motivazione né i requisiti. Questo approccio – che va radicalmente cambiato – ha effetti negativi su più piani: da un lato danneggia il livello qualitativo delle scuole superiori, dall’altro sottrae alle scuole professionali (e al mondo del lavoro) giovani molto capaci che potrebbero intraprendere interessanti carriere.
2) I test PISA segnalano costantemente che alle medie gli studenti ticinesi ottengono prestazioni inferiori rispetto ai loro coetanei d’oltre Gottardo. Questo dato non è dovuto a differenze di quoziente intellettivo o a minori capacità di insegnamento dei nostri docenti. Il fatto è che la nostra scuola media, diversamente da quella di altri cantoni svizzeri, non adatta la sua velocità alle (diverse) capacità degli allievi, ma pretende di imporre a tutti un unico ritmo (con qualche eccezione). In Ticino, rispetto al resto della Svizzera, c’è una differenza più ridotta tra i risultati degli allievi meno bravi e quelli degli studenti più preparati. Questa sorta di equilibrio, che a prima vista potrebbe sembrare un pregio, conduce in realtà a un appiattimento sulla mediocrità. Gli allievi con qualche difficoltà non riescono comunque a raggiungere risultati soddisfacenti – ciò che rischia di pregiudicare il loro inserimento nell’apprendistato – mentre gli allievi più dotati non possono sviluppare appieno il loro potenziale. Questo esito è confermato dai test PISA 2003 e 2006: il Ticino ha la quota più alta di allievi «deboli» e la quota più bassa di allievi «forti». Senza necessariamente tornare a una bipartizione ginnasio/maggiori, potrebbe essere utile ripensare in chiave (oggettivamente) critica il modello «inclusivo» ticinese.
3) I docenti hanno sempre più difficoltà nel vedere riconosciuto il proprio ruolo da parte di allievi e genitori e ciò comporta in alcuni casi uno scadimento dell’ambiente scolastico. Se è vero che questa problematica si inserisce in un contesto più generale di crisi delle «autorità» tradizionali (famiglia, partiti, esercito, Chiesa), ciò non toglie che la scuola, proprio per la sua alta missione educativa, non può scendere a compromessi con atteggiamenti irrispettosi e lavativi. In assenza di reazioni forti, non ci si dovrà stupire se molte famiglie preferiranno rivolgersi ad istituti scolastici (privati) in cui l’ambiente scolastico è più «sano». Lo Stato, anche a costo di rinunciare a un po’ di «garantismo», deve assicurare ai docenti il massimo sostegno nel gestire le situazioni più problematiche, tenendo anche conto del fatto che il docente si vede investito di problematiche e responsabilità che esulano sempre più dal suo compito di insegnante.
Questi sono solo alcuni spunti di riflessione sulla scuola ticinese; se si vorrà affrontare la discussione senza paraocchi, la qualità di questa preziosissima istituzione non potrà che guadagnarne.
Articolo Corriere del Ticino, 28 gennaio 2011
di Maurizio Agustoni, presidente Generazione Giovani candidato del PPD al Gran Consiglio