Ho condiviso, con la sinistra moderata e con la sinistra antagonista, l’illusione che l’eredità del ‘68 fosse soprattutto uno stimolo progressivo verso orizzonti radiosi, anche sul piano educativo, mentre il bilancio, nella realtà delle cose, risulta a dir poco fallimentare. Uno dei compiti della sinistra è la critica artistico-culturale all’ipocrisia della borghesia. Nessuno che sia dotato di buon senso critico e civico potrà mai perdonare alla sinistra il gravissimo errore di aver considerato la critica alla scuola borghese più importante della critica al capitalismo. La riproduzione capitalistica ha capito, e concretizzato, prima che noi fessacchiotti ce ne rendessimo conto, che, nella nuova società, la sovranità esclusiva dell’economia e dei mercati finanziari tende a togliere ogni valore legale, definito «corporativo», a qualunque titolo assegnato per meriti culturali o politici, e dunque anche a un titolo di studio che intenda sfuggire alla decisione monopolistica ed esclusiva dell’impresa. Questo implica una scuola più difficile (master e dottorato) per i candidati a far parte dei gruppi dirigenti, ma anche una scuola più facile per tutti coloro che dovranno limitarsi a posizioni esecutive: elementari e medie facili, Licei e commercio abbastanza facili e bachelor licealizzato, con frequenza obbligatoria, test ricorrenti e istruzione di base di tipo aziendale. Per i privilegiati ci saranno sempre «portfolio», «crediti» e soggiorni di studio all’estero. La nascita della scuola media ha eliminato la feroce canalizzazione, precoce e classista, nel ginnasio e nelle scuole maggiori, ma il suo sviluppo, sezioni A e B prima, e livelli 1 e 2 poi, non è un rimedio peggiore del male?
Carlo Speziali e Giuseppe Buffi sono stati, nella scuola ticinese, i responsabili oggettivi della prima riforma, due uomini di scuola, sopracenerini e radicali, anche se il primo è stato, all’inizio della sua attività professionale, una delle figure più reazionarie di quella scuola che ha portato al ‘68 ticinese, e il secondo, verso la fine della sua attività politica, per realizzare finalmente l’Università in Ticino, ha ceduto qualcosa alle sirene liberali, leghiste e cielline, coi pipidini a rimorchio. Entrambi i consiglieri di Stato erano dei decisionisti e non hanno permesso ai funzionari di toccare troppo il grande liceo borghese nato fra il 1790 e il 1820, a partire dalla Francia napoleonica e dalla Germania hegeliana, che voleva togliere alle Chiese il monopolio dell’educazione secondaria e unificare i lati migliori della cultura illuministica (storia, scienze matematiche e naturali) e della cultura romantica (classicità greco-latina, letteratura ed educazione non solo razionale ma anche sentimentale). Luca Cavalli Sforza e Roberto Renzetti, studiosi di scienze naturali, dichiarano che «le traduzioni dal greco e dal latino sono state le attività più vicine alla ricerca scientifica, cioè alla comprensione di ciò che è sconosciuto». La baggianata della polemica fra le due culture viene ripresa proprio oggi, quando le scienze naturali ricevono, nel nuovo ordinamento liceale, il compito ingrato di effettuare, nella prima classe, la prima vera selezione che le ragazze e i ragazzi devono affrontare nella loro vita. Gabriele Gendotti non è un uomo di scuola, è un avvocato, e da quando dirige il DECS a comandare sono i funzionari. Con loro ha vinto il pedagogismo, la deformazione concettuale che tende a ridurre al minimo il contenuto disciplinare, e nello stesso tempo a enfatizzare le modalità didattiche di trasmissione dei contenuti.
Attenzione! La pedagogia è una cosa seria, ma il pedagogismo è una malefica pratica ideologica, che sfocia, prima o poi, nel didatticismo: l’ingegneria pedagogica maniacale, l’abolizione virtuale della disciplina e il suo scioglimento in tecniche asfissianti di analisi esasperate di parti sempre più piccole. Sia ben chiaro: leggere le analisi poetiche di Giorgio Orelli e di Stefano Agosti è un piacere indicibile, per un letterato maturo e responsabile, ma imporre lo stesso tipo di attività su un testo a ragazze e ragazzi liceali è mostruoso e perfino un po’ perverso. Mi piacerebbe che le giovani e i giovani docenti, in formazione presso l’Alta scuola pedagogica o appena usciti, avessero il coraggio di esprimere la loro opinione. Per vedere dove possiamo andare a finire, se continuiamo sulla strada intrapresa dai vari Harmos e riforme dell’Ordinanza federale di maturità, basta leggere tre testi meravigliosi: La Scuola raccontata al mio cane, di Paola Mastrocola, 2004 (sulla situazione italiana), Diario di scuola, di Daniel Pennac, 2008 (sulla situazione francese) e Una goccia di splendore, di Fabio Pusterla, 2008 (sulla situazione ticinese).
Articolo nel Corriere del Ticino
del 6 dicembre 2010
di Gian Piero Bernasconi, Presidente Comitato cantonale Partito comunista