La scuola – parto da una riflessione di Roberto Renzetti, studioso di fisica e ricercatore – deve diventare funzionale a quanto si va delineando nella società, con sacche di resistenza qua e là, tanto nobili quanto sterili. Dai primi anni 90 l’economia e la finanza hanno aumentato considerevolmente il loro peso nella direzione politica del mondo occidentale, e la politica in senso stretto ha sempre meno margini di mediazione. È quindi dalle scelte di economisti, imprenditori, finanzieri e manager che occorre partire per capire che cosa si progetta per questo secolo.
Al Fairmont Hotel di San Francisco, nel settembre 1995, si riunì l’élite del mondo, il braintrust globale (Bush padre, la Thatcher, Schultz, Turner, Rifkin, Packard, Gage, Brzezinski), per «decidere delle prospettive del mondo nel nuovo millennio che porta ad una nuova civiltà». Tutti furono d’accordo nel prefigurare un modello di società in cui solo il 20% dei cittadini sarebbe stato necessario per mandarlo avanti. Il rimanente 80% sarebbe stata da considerarsi «massa eccedente» (sic!). Si prospettavano riforme selvagge, ben anticipate da Gage, dirigente di Sun Microsystem: «Assumiamo i nostri operai con il computer, lavorano con il computer e li cacciamo con il computer», e, naturalmente, progettando una società senza classe media, ci si poneva il problema di come farla accettare alla «massa eccedente».
Fu Zbigniew Brzezinski che fornì una prima soluzione: tittytainment , una parola coniata a proposito, che sta per tits (= tetta) e entertainment (= gioco). Insomma il panem et circenses della Roma imperiale. A quanti obiettavano che il circo sarebbe stato insufficiente per chi chiedeva autostima, il moderatore R. Roy rispondeva che volontariato e associazioni sportive «potrebbero essere valorizzati con una modesta retribuzione per promuovere l’autostima di milioni di cittadini». I numeri della «massa eccedente», continuava Roy, non dovrebbero preoccupare perché, a breve, vi sarà, nei Paesi occidentali, una nuova richiesta di lavori precedentemente rifiutati: pulizia stradale, collaborazioni domestiche. Intanto occorre iniziare a colpevolizzare questa massa: non si lavora abbastanza, si guadagna troppo, la produttività è troppo bassa, le pensioni vengono erogate troppo presto, sono troppo elevate, si è malati per troppo tempo, troppo assenteismo, la maternità, viviamo al di sopra delle nostre possibilità, servono sacrifici, troppe vacanze, le società asiatiche della rinuncia devono essere prese a esempio, viva il Dalai Lama (che già nel 1989 aveva ricevuto il Nobel per la pace).
Naturalmente, in questo scenario, la scuola diventa funzionale a quanto si va delineando. Ricordate Milton Friedman? Già nel 1955 (!) aveva scritto: «Le scuole saranno più efficienti se saranno sottoposte alle leggi del mercato capitalistico e, come le aziende, entreranno in concorrenza le une con le altre per attirare i loro clienti: gli studenti. A questo scopo serve un sistema statale di buoni scuola emessi all’ordine dei genitori di un figlio in età scolare, buoni che potranno essere spesi in una scuola a scelta delle famiglie degli studenti, anche private e/o confessionali». Non vi sembra di aver già sentito, da qualche parte in Ticino, parole simili? La scuola così come è, tutti concordano, costa troppo ed è una spesa superflua per i fini che si vogliono conseguire. Occorre pensare a una scuola che costi molto meno e che prepari dei cittadini a livello di buoni consumatori in questa società tecnologica. Occorre che i cittadini conoscano, per esempio, digitale, DVD, Laser, Hi Tech, PC, Internet, Provider, CD, masterizzatore; non è invece in alcun modo necessario che conoscano i meccanismi scientifici e tecnologici che stanno dietro questi nomi. Per intenderci: occorre che i cittadini abbiano la preparazione tecnologica sufficiente per essere consumatori, ma non tale da essere creatori di scienza e di tecnologia. Questo almeno a livello di impegno di scuola pubblica, di quella che è pagata dalla fiscalità generale.
Vi è naturalmente necessità di cittadini preparati a livelli superiori, ma è del tutto inutile, e soprattutto è un vero spreco di risorse, pensare di formare tutti in modo che possano pensare all’accesso a queste superiori specializzazioni. Chi serve per tali fini verrà preparato in scuole speciali e private. La selezione per accedere a queste scuole la faranno le scuole private stesse e le imprese. Non ha senso continuare a dissipare denaro nell’istruzione pubblica. Il mercato è buono e gli interventi dello Stato sono cattivi: deregulation anziché controllo statale, liberalizzazione di commercio e di capitali, privatizzazione di ogni cosa abbia il sapore del pubblico. Care e cari pedagogisti social-radicali, come fate a non capire che far leggere Moccia in classe, invece di Leopardi, solo perché «è più vicino al loro vissuto», condanna i figli e le figlie dei poveri alla subalternità per tutta la vita, e li trasforma in aspiranti calciatori e in aspiranti veline, destinati al fallimento e alla frustrazione? Ignorare che un grande testo, di un grande autore, può muovere «qualcosa dentro», se lo si legge senza avvilenti parafrasi banalizzanti, vuol dire inoltre disprezzare paternalisticamente la sensibilità e l’intelligenza (affettiva) delle allieve e degli allievi. Tutto ciò porta alla realizzazione di una scuola funzionale alle esigenze della nuova società, una scuola che produce solo dei modesti esecutori.
Articolo nel Corriere del Ticino
del 1° dicembre 2010
di Gian Piero Bernasconi, presidente Comitato cantonale Partito comunista