È fatto risaputo che i Cantoni della Svizzera tedesca hanno puntato di più, negli ultimi decenni, sulla formazione professionale dei giovani. Riducendo il numero dei disoccupati in modo statisticamente significativo, tale scelta ha contribuito a rendere l’offerta di lavoro più realisticamente aderente alle nuove esigenze del mercato. Nel Cantone Ticino, invece, sussiste ancora un modello ottocentesco di carriera lavorativa legato alle libere professioni. Il prestigio della casta notarile, per esempio, fa parte della nostra tradizione accademica e affonda le proprie radici nell’Ancien Régime. Così valga per le professioni di un certo prestigio legate all’edilizia, come quelle della nostra Accademia di architettura. Il prolungamento degli studi si è rivelato, tuttavia, un comodo espediente per posticipare i problemi occupazionali frutto di un’illusoria politica imprenditoriale.
Sussiste, dunque, un grave pregiudizio nei confronti delle professioni artigianali. Infatti, la cultura del prestigio sociale ha influenzato in modo determinante le scelte della stessa scuola pubblica. Scuola che ha così privilegiato un solo tipo d’intelligenza, quella astratta, a scapito di altre.
Con l’armonizzazione cantonale degli studi, inoltre, in linea con le scelte confederate, si è colta la ghiotta occasione per introdurre metodologie estremamente normative, in particolar modo nell’insegnamento delle lingue straniere. Simili metodologie piuttosto costrittive, poco rispettose dei principi della pedagogia applicata, si stanno rivelando vere e proprie trappole didattiche che inficiano quel poco di autonomia professionale concessa ancora fino a pochi anni fa all’intelligenza del corpo insegnante ticinese. Affetti da un esasperante didatticismo fiscale, sembrano stati concepiti per misurare il grado di efficienza dell’insegnante, incanalando gli allievi entro le strettoie di una pedagogia assistenziale. Sicuramente andrebbero d’accordo con una successiva introduzione di salario al merito!
Ritmi di studio eccessivamente accelerati per studenti normodotati, spazi insufficienti da consacrare all’esercitazione dei concetti appresi, scarsa attenzione alla motivazione e ai reali interessi dei discenti, orari sovraccarichi, controlli intensificati e regolari al limite dell’esasperazione, consegne spesso mal spiegate che presuppongono conoscenze e metodo di lavoro già acquisiti: tutto ciò ha ridotto la scuola pubblica a un «salumificio» di prestigio, a uno «spezzatino di materie» (pensiamo alla babele dell’insegnamento delle lingue straniere) da destinare ad una presunta élite in grado di risolvere gli eterni problemi strutturali della nostra economia.
Gli ideali fransciniani della scuola pubblica sembrano così essere pronti alla svendita, con largo margine di sconto, ai teologicamente predestinati istituti privati.
Lettera al Corriere del Ticino
del 1° dicembre 2010
di Gabriele Quadri Cagiallo