Scoppia un caso, e allora si scopre che c’è un problema anzi, una “problematica” come ormai si usa dire per gonfiare l’argomento. Studenti ginevrini e zurighesi in gita scolastica hanno aggredito, picchiato e derubato, in due diverse città e in due distinte occasioni. Subito, anche qui da noi, ci si è preoccupati del rischio rappresentato dalle gite scolastiche, della responsabilità dei docenti accompagnatori e del controllo degli allievi in trasferta. E sono fioriti i dibattiti.
Ma il problema non è dato dalle gite scolastiche. È vero che, come ogni evasione dalla consuetudine, una passeggiata scolastica può ingenerare nei ragazzi l’euforia dell’avventura con qualche tentazione di trasgressione; ma se gli studenti sono abitualmente disciplinati e corretti nella quotidianità della vita scolastica è molto improbabile che commettano eccessi gravi una volta in trasferta. Dicevo: “se” sono, di regola, disciplinati e corretti. Il problema sta qui: lo sono?
La gran parte sì, presumo e voglio credere. Poi ci sono i casi problematici. Che sono in aumento, anche da noi. Quanti sono, quanto è grave il problema? Non saprei dirlo: però se ci atteniamo alle sole segnalazioni dei casi di bullismo, dello sballo con alcolici e altre sostanze, delle risse, dei furtarelli, dei vandalismi, dei graffitari, l’impressione è che non stiamo in buona salute. Poi, quando la trasgressione è clamorosa o drammatica, l’opinione pubblica si preoccupa e si fanno dibattiti; ma, a mio avviso, non è tanto dei casi clamorosi che ci si deve preoccupare, quanto piuttosto della confusione generale che circonda l’azione educativa tanto da renderla poco efficace.
Mi spiego. Più del pugno tirato in faccia al compagno o della devastazione di cimiteri, io ritengo inquietante il lassismo educativo, le piccole trasgressioni quotidiane che vengono comunemente tollerate: bigiare le lezioni senza una giustificazione valida, non svolgere regolarmente i compiti scolastici, rispondere malamente o con insulti a compagni e docenti, disturbare in aula il lavoro comune… Su questi malvezzi occorrerebbe intervenire, subito e con fermezza, per evitare che l’impunità rafforzi il comportamento trasgressivo facendolo degenerare verso trasgressioni più gravi. Ma troppo spesso di fronte a questi casi si adotta la strategia del “Parliamone!”: e se ne parla, con lo studente che ascolta annoiato, con i suoi genitori che lo sostengono, con la classe disorientata, con il collegio dei docenti in conflitto tra loro. D’altra parte, fin che il caso non diventa grave, non esiste altra strategia condivisa: gli strumenti disciplinari previsti dal regolamento scolastico sono minimi; tra gli insegnanti non c’è un consenso comune su cosa si possa tollerare e cosa no, su cosa esigere e come; nelle famiglie c’è spesso un’incertezza (o un’indifferenza) verso le regole che le rende inefficaci o conflittuali rispetto a quelle scolastiche; e la scuola non ha autorità sulle famiglie.
Dentro questo quadro generale, è probabile che i casi clamorosi diventeranno più frequenti: avremo così l’occasione di sempre nuovi ed edificanti dibattiti.
Articolo nel “Caffè”
del 28 novembre 2010
di Franco Zambelloni, docente