Parlare di formazione oggi è probabilmente la cosa più difficile che si possa fare. Tutti, per esperienza personale a dipendenza del proprio osservatorio particolare, si sentono giustamente nel diritto di abbozzare un giudizio più o meno articolato. La formazione, o più semplicemente la scuola ai diversi livelli, è un patrimonio sociale, forse unitamente al lavoro il bene più prezioso che una società possiede. Una società senza formazione adeguata e senza capacità di produrre opportunità di lavoro è una società destinata a ridurre le proprie speranze di sviluppo e crescita.
In questo insieme di sguardi legittimi sul mondo della scuola, quello che si fonda sulla relazione tra formazione e lavoro ed in particolare sul delicato passaggio tra scuola dell’obbligo e mondo del lavoro, risulta, oggi come non mai, determinante per ipotizzare un moderno progetto scuola. È in questa relazione che si gioca quotidianamente la più delicata delle partite. Una partita strana, dal risultato aperto, ma che se non affrontata con determinazione, inesorabilmente rischia di produrre un risultato molto negativo. È questa la mia partita quotidiana, è quel pezzo di scuola che ben conosco in qualità di rappresentante del mondo professionale che da sempre accoglie, con immutata dedizione, i giovani nelle proprie aziende. Un mondo, quello professionale, che sempre più, nell’incontro con i ragazzi che decidono di entrare nello stesso attraverso la scelta dell’apprendistato, preoccupato si interroga sulla capacità della nostra scuola media di raggiungere i suoi obiettivi formativi anche per i giovani che si orienteranno da subito verso il mondo del lavoro.
Ma allora, cosa colpisce il mondo del lavoro e le sue aziende nell’incontro con questi giovani? Indubbiamente una fragilità strutturale enorme. Una debolezza non tanto per lacune di tipo scolastico, che peraltro sono evidenti soprattutto per quanto concerne il calcolo e la padronanza della lingua; ma soprattutto per una sorta di difficoltà a tutti i livelli nella capacità di percepire e valutare gli elementi essenziali e determinanti della realtà lavorativa. Il lavoro non è più un valore e probabilmente neppure più un tema in ambito scolastico.
Questioni apparentemente banali quali la puntualità, la comprensione dell’importanza delle comunicazioni semplici ed efficaci, l’ascolto, il riconoscimento dei ruoli, una minima capacità organizzativa: tutti elementi indispensabili per poter ragionevolmente sperare di dar vita ad un incontro proficuo con il mondo del lavoro, sono sempre più impalpabili e sembrano non più appartenere a quell’insieme di competenze minime che i ragazzi portano con sé dalla scuola dell’obbligo.
Non si tratta quindi quasi mai, è bene ricordarlo, di presentarsi a quindici anni al cospetto del mondo del lavoro con chissà quali competenze disparate. Fortunatamente non sono più molti i settori rimasti a perseguire in modo un po’ miope esclusivamente la logica della prestazione scolastica: si tratta di riuscire a tornare a formare giovani capaci di comprendere la struttura e le logiche del nuovo mondo attraverso un sano impegno, frutto di processi prevalentemente di tipo educativo rispetto a quelli meramente formativi. Una sottile distinzione di termini, ma un chiaro diverso orientamento di approccio su cui forse la scuola media dovrà essere portata a riflettere. Una scuola che, per colpe non sue, fatica sempre più a sviluppare nei giovani la capacità determinante di riconoscere il valore dell’assunzione di semplici responsabilità.
Troppe competenze disparate nella nostra scuola dell’obbligo, troppe materie, troppo tutto? È evidente che in queste affermazioni vi è una buona dose di provocazione. Ed è chiaro che la scuola media non può orientarsi esclusivamente verso la sola ipotesi di orientamento all’apprendistato. Resta però il fatto che questa realtà, riconosciuta da tutti come determinante per lo sviluppo ed il mantenimento della struttura lavorativa e sociale del Paese, merita un occhio di riguardo e deve trovare una soluzione adeguata se veramente si vuole dar seguito agli slanci politici ed associativi congiunti di riorientamento delle scelte dei giovani verso il mondo del lavoro.
Guai però a leggere queste brevi considerazioni come una resa, una dichiarazione di fallimento. Le capacità per affrontare questa nuova sfida non mancano alla nostra scuola. Siamo forse noi cittadini i primi a doverci convincere di questo, sostenendola ed affiancandola nel suo cruciale quanto difficile compito.
Articolo nel Corriere del Ticino
del 23 novembre 2010
di Paolo Ortelli, direttore centro di formazione professionale SSIC-TI