Finalmente il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport ha deciso di prendere in carico anche i bambini e i giovani ad alto potenziale intellettivo, come emerge da una direttiva che spiega i problemi che spesso tormentano questi allievi tanto da pregiudicarne la formazione, mettendo l’accento sulla necessità di interventi adatti. Recita la direttiva: «Anche per gli allievi che presentano uno sviluppo cognitivo precoce (…) è necessario prevedere la possibilità di misure di scolarizzazione differenziate allo scopo di evitare che le loro caratteristiche di sviluppo siano causa di disadattamento scolastico». In marzo l’Associazione ticinese individuazione e promozione talenti (ATIPT) ha organizzato all’USI una serata sul problema e sulle possibili soluzioni, presentando gli esperti dell’associazione e la loro attività di consulenza riguardo sia alla valutazione dei bambini sia alla formazione degli insegnanti. Problema nel problema, infatti, è che nessuno ha un’esperienza sufficiente a mettere in atto, oltre a valutazioni corrette, interventi pedagogici e didattici appropriati per questi bambini, perché nessuno finora se ne è occupato in modo organico e prolungato. L’ATIPT è stata fondata proprio per dare consulenze a insegnanti e genitori di bambini precoci e/o ad alto potenziale intellettivo. L’associazione si avvale dell’esperienza di Eurotalent, OING riconosciuta dal Consiglio di Europa, fondata negli anni ‘80, da me presieduta in Italia e rappresentata al Consiglio d’Europa.
È fondamentale che gli insegnanti sappiano ascoltare anche i bambini ad alto potenziale intellettivo e rispondere ad essi con mezzi didattici e relazionali appropriati. Bisogna infatti evitare il rischio sia di mirare a un addestramento precoce, che porti alla fabbrica dei bambini prodigio, sia di voler adeguare questi bambini al livello medio della classe, demotivandoli e creando molti problemi a loro stessi, alle loro famiglie, alla classe. Bisogna mirare a una formazione cognitiva equilibrata, che ponga i bambini di fronte a obiettivi e ostacoli che, per essere di difficoltà pari a quelle poste agli altri bambini, devono essere diversi.
In Italia le prima iniziative per la formazione degli insegnanti al riconoscimento e alla didattica per i bambini ad alto potenziale intellettivo sono state ad opera delle Università di Bergamo (2007) e di Bressanone (2008-2009), seguite da iniziative ad Anzio e ad Arezzo (2010). Ho tenuto personalmente tutti i seminari di formazione ed eseguo le valutazioni che permettono di tracciare un profilo dei bambini.
Quanto alla valutazione, bisogna stare attenti a non cascare nella trappola dei test visti in modo esclusivo e tecnicistico. La mancanza di esperienza specifica infatti può condurre a dare un’importanza eccessiva ai numeri: quozienti di intelligenza, globale e parziale. I risultati ai test vanno abilmente integrati con quelli di un’osservazione resa efficace dall’esperienza specifica con questi bambini. L’emotività, il valore che il bambino dà all’incontro, la qualità della relazione instaurata con chi li esamina, hanno grande importanza, così come eventuali vizi di comportamento già instaurati, come l’abitudine a capire tutto subito, che può avere come conseguenza una superficiale avventatezza e la disabitudine allo sforzo, o la tendenza a sfiduciare l’adulto, invertendo i ruoli.
La soluzione necessaria per ogni tipo di orientamento decisionale è che gli insegnanti siano formati ad ascoltare e capire i bambini superdotati. E che conoscano le diverse strategie didattiche e pedagogiche atte a realizzare anche per loro pari opportunità di formazione. Per questo la formazione degli insegnanti è la condizione necessaria a monte di ogni altro provvedimento perché questa lacuna del sistema scolastico sia finalmente colmata.
Articolo nel Corriere del Ticino
del 23 novembre 2010
di Federica Mormando, psicoterapeuta, vicepresidente ATIPT