Sono un docente in pensione da cinque anni, e non certo per logorio da insegnamento. Ho insegnato a ragazzi e ragazze già allora giovanotti e signorine, e per mia fortuna, o con un po’ di merito, non sono mai stato costretto a ricorrere a sistemi decisivi o violenti, se non in un caso. Uno studente, ora avvocato affermato, un mattino si attardava ancora, dopo il terzo richiamo, al ritorno a piedi dalla visita ad un museo, solo per evitare la lezione successiva. Allo scadere del terzo richiamo, visto l’esito negativo dei precedenti, gli ho piantato un calcio nel sedere, dopo il quale egli si è diligentemente accodato agli altri senza recriminare ed è arrivato in sede a tempo per la lezione prevista. L’ho ritrovato a scuola come collega molti anni dopo: non aveva più male al sedere e con lucidità ha ricordato il fatto, anche se molto lontano nel tempo, ci ha riso, ma per finire ha riconosciuto che in certe situazioni, anche se non gravi, ad estremi mali si impongono estremi rimedi. Ho conosciuto anche un maestro che, il primo giorno di scuola, mandava un allievo esperto in potatura a tagliare una frasca di nocciolo, che poi rimaneva in classe, o come memento, o talora, o spesso, debitamente usata. Tutto questo non per fare l’elogio alla violenza o all’autoritarismo, ma per dire che per giudicare certe sanzioni si dovrebbe come minimo andare cauti. È vero infatti, oltre che sbagliato, che un tempo, se andavi a casa a dire che il maestro ti aveva dato una sberla, ne prendevi almeno altre quattro. È però anche vero che se oggi un ragazzino moccioso va a casa a dire che il maestro l’ha rimproverato, il maestro rischia un colloquio in presenza del direttore, con richiesta di scuse e di sanzioni.
Concludo con un esempio scolastico che risale a pochi mesi prima del mio pensionamento, che mi pare assai eloquente, ma che non ha la pretesa di assolvere il docente che in questi giorni ha bacchettato un ragazzino. Un tale bel tomo rompeva l’anima, come si dice, a tutti durante l’ora di lezione. Il docente lo ha richiamato una, due, tre volte, dopo di che lo ha invitato ad uscire perché la lezione doveva pur continuare. Niente da fare, per cui il docente lo ha preso per la giacchetta, per fargli capire che era ora di abbandonare l’aula, per la pace di tutti. Non l’avesse mai fatto: si è beccato un pugno in faccia, con denti rotti e sangue dappertutto. Le autorità scolastiche non hanno certo brillato nel rendere sacrosanta giustizia ad una persona che ha dedicato la sua vita alla scuola. Tardivamente la giudice dei minorenni ha giustamente sanzionato il ragazzo, che però già da tempo se la rideva. E pensare che al malcapitato docente mancavano pochi mesi al pensionamento: bella soddisfazione per il traguardo raggiunto!
Lettera al Corriere del Ticino
del 15 novembre 2010
di Sandro Mombelli, Stabio