L’altra settimana il settimanale «Time» pubblicava un articolo sulla polemica in corso tra Stati Uniti e Cina sul valore del renminbi (o yuan), la valuta cinese. Fareed Zakaria, l’autore dell’articolo, dice in sostanza: smettiamola di preoccuparci della valuta, perché la sfida della Cina adesso sta facendo un nuovo salto di qualità e rampognare i cinesi sul valore della loro moneta non ci farà vincere la competizione globale con loro.
Da questo punto di vista la legge bipartisan approvata il 29 settembre dalla Camera dei rappresentanti è, secondo Zakaria, «nel migliore dei casi inutile, nel peggiore pericolosa demagogia». La Cina, infatti, non punta più (o non solo) sul basso costo del lavoro di una manodopera abbondante e sulla sottovalutazione dello yuan.
La Cina, dopo aver prodotto il maggior sforzo infrastrutturale nella storia umana, dotandosi in soli trent’anni d’infrastrutture moderne, sta per produrre un altro «grande balzo in avanti». Nel campo dell’educazione.
Alcune cifre permettono di illustrare questo punto: la percentuale del PIL cinese investita nell’educazione è triplicata dal 1998. Nell’ultimo decennio il numero di università è raddoppiato e quello degli studenti è quintuplicato, passando da 1 milione nel 1997 a 5,5 milioni nel 2007. Solo i nuovi studenti iscritti all’università, dal 2000, sono superiori al totale degli iscritti in tutte le università americane!
Tutto questo in un periodo storico in cui le università europee e americane stanno andando a pezzi a causa dei tagli nei budget conseguenti alla crisi finanziaria, ma anche a scelte politiche poco oculate.
Insomma la Cina sta investendo nell’educazione dei propri cittadini con la medesima feroce determinazione con cui, negli ultimi trent’anni, ha investito in strade, autostrade, porti, fabbriche, ferrovie, eccetera. E noi?
Veniamo al piccolo, anzi al piccolissimo. Il nostro Cantone si appresta a discutere delle proprie priorità nell’ambito della campagna elettorale per il rinnovo dei poteri cantonali. Da decenni ormai l’investimento nell’istruzione si limita a cercare, a fatica, di mantenere le posizioni in quella che è essenzialmente una battaglia di retrovia. Così mentre altre nazioni, Cina in primis , puntano sui cervelli e sull’istruzione, noi abbiamo scelto di dimenticarcene. E ciò, nonostante la Svizzera sia ancora il Paese più competitivo al mondo non in virtù dei propri giacimenti petroliferi (non ce n’è) o del costo del lavoro (uno dei più alti al mondo), ma proprio grazie al livello generale d’istruzione e competenza.
A livello micro, riguardo quindi la nostra realtà cantonale, si fa un gran parlare di sostegno all’economia, con misure (e milioni di franchi) nell’ambito del promovimento economico. Dimenticando, apparentemente, che l’unico vero promovimento economico a lungo termine per una realtà come la nostra è l’investimento nell’educazione, nella formazione, nell’istruzione.
La Cina lo dimostra a livello macroscopico: la sfida non si giocherà, per noi, nelle infrastrutture o sul costo del lavoro. Nossignore: la battaglia la vinceremo (o, se non cambiamo strada, la perderemo) soprattutto nell’ambito delle risorse intellettuali e delle competenze. Da questo punto di vista il Ticino sta facendo le scelte giuste? Oppure sta demolendo, pian piano, quanto di buono fatto in passato?
Sarebbe bello se la nostra campagna elettorale trovasse dello spazio per discutere di questi temi, senza accanirsi sui roditori. Perché il vantaggio competitivo di cui i Ticinesi hanno bisogno, se lo portano dentro le loro teste. Ed è quello l’orticello che bisogna coltivare meglio.
Corriere del Ticino, 19 ottobre 2010
SERGIO SAVOIA, coordinatore dei Verdi