Nel precedente articolo (vedi CdT di mercoledì 29, pag. 40) sono state presentate due proposte per migliorare la scuola. Una terza proposta sono i tagli ai corsi di abilitazione. Un altro problema che ogni docente ha incontrato è infatti quello dell’abilitazione all’insegnamento presso l’ex ASP (Alta scuola pedagogica) ora DFA. Chi scrive ha svolto l’abilitazione en emploie frequentando per un anno dei corsi di didattica e pedagogia e parallelamente potendo lavorare sul campo come docente titolare per circa un metà tempo e ricevendo lo stipendio in proporzione. Una sfida impegnativa per chiunque, un’attraversata nel deserto per chi lascia un posto solido, magari a tempo pieno. Fino al 2004 funzionava così. E dopo? Si è passati dapprima a un anno di corsi (ed esami) a tempo pieno presso l’ASP senza alcuna remunerazione, e poi, della serie «non c’è limite al peggio!», a due anni di corsi (ed esami), di nuovo senza alcuna remunerazione, almeno durante il primo anno. E dopo essersi sudati l’abilitazione con esami teorici e pratici, non è mica finita. Per essere assunti bisogna ancora superare un colloquio di assunzione (per il quale è necessario preparare altri dossier) con un’altra commissione. Ci ripetiamo: solo persone del tutto ignare di cosa sia la scuola media o funzionari cervellotici possono pensare che una simile maratona possa essere utile a migliorare la qualità della scuola. Non solo non è utile ma è probabilmente controproducente. E su questo invitiamo ad eseguire un sondaggio su chi ha svolto l’abilitazione negli ultimi 10 anni e in particolare negli ultimi 5. La verità è che spesso si finisce l’abilitazione con le ossa rotte e la mente sottosopra per via dell’enorme carico di lavoro, reso ancora più gravoso da un modo di presentare teorie pedagogiche e didattiche non di rado incline a un’enfasi tale da poter esser percepita come fanatismo, e incurante della loro effettiva aderenza alla realtà. Basti dire che non pochi dei formatori che insegnano all’ASP ai pretendenti docenti di scuola media hanno ben poca o nessuna esperienza di insegnamento nella scuola media (intendo come docenti titolari).
Articolo nel Corriere del Ticino
Quarta proposta: tagli alle risorse destinate alle funzioni di vigilanza degli esperti di materia. Un’altra situazione un po’ particolare riguarda il ruolo e i criteri di selezione degli esperti di materia. Si tratta di una figura a cui è attribuito, tra altri compiti condivisibili e importanti, quello di eseguire «visite regolari durante le lezioni» con lo scopo di effettuare una «vigilanza disciplinare e metodologica sull’insegnamento». Tali esperti «di regola, sono docenti di scuole postobbligatorie», in pratica gli esperti per le medie sono spesso docenti di liceo (cfr. Regolamento scuola media). Inutile dire che il vedersi entrare in classe un vigilante che magari ha poca o nessuna esperienza diretta nella scuola media, e che dopo un’ora di osservazione è probabile ti faccia un laconico complimento e una minuta critica, non è la prima cosa che ci si augura alla mattina. Ma il punto è un altro. Che senso ha dare la precedenza per questo incarico a docenti di scuole postobbligatorie? Al contrario, non sarebbe più logico valorizzare l’esperienza pluriennale e continuativa nel settore medio? E in ogni caso, sono davvero necessarie visite regolari? Non bastano le direzioni degli istituti, una sana collaborazione tra docenti della stessa materia e i corsi di aggiornamento a garantire il mantenimento di standard didattici elevati? E con le risorse liberate con i suddetti tagli perché non cogliere lo spunto di Merlini e sgravare di qualche ora di insegnamento i colleghi vicini alla pensione (loro sì esperti sul campo), consentendo loro di affiancare i docenti alle prime armi? Tornare con i piedi per terra fa stare bene e non costa niente, anzi fa risparmiare.
del 2 ottobre 2010
di Filippo Ciceri, docente di scuola media