Si avvicina la fine dell’anno scolastico e già si cominciano a sciogliere gli inni e i peani ai progressi e alle conquiste dell’istituzione nella quale mi sono trovato ad operare per 29 anni. Mi permetto di dissentire, rispettosamente. Qualcuno ha scritto che è meglio avere rimorsi piuttosto che avere rimpianti, e che la nostalgia è un sentimento personale e soggettivo, quindi individualistico, di grande rispettabilità, ma guai se esso diventasse la sola chiave di lettura della realtà concreta. Ho condiviso, con la sinistra moderata e con la sinistra antagonista, l’illusione che l’eredità del 68 fosse soprattutto uno stimolo progressivo verso orizzonti radiosi, anche sul piano educativo, mentre il bilancio, nella realtà delle cose, risulta a dir poco fallimentare. Uno dei compiti della sinistra, l’ho già scritto, è la critica artistico-culturale all’ipocrisia della borghesia. Nessuno che sia dotato di buon senso critico e civico potrà mai perdonare alla sinistra il gravissimo errore di aver considerato la critica alla scuola borghese più importante della critica economico-sociale al capitalismo. La riproduzione capitalistica ha capito, e concretizzato, prima che noi fessacchiotti ce ne rendessimo conto, che, nella nuova società, la sovranità esclusiva dell’economia e dei mercati finanziari tende a togliere ogni valore legale, definito corporativo, a qualunque titolo assegnato per meriti culturali o politici, e dunque anche a un titolo di studio che intenda sfuggire alla decisione monopolistica ed esclusiva dell’impresa. Questo implica una scuola più difficile (master e dottorato) per i candidati a far parte dei gruppi dirigenti e della classe dominante economico-finanziaria, ma anche una scuola più facile per tutti coloro che dovranno limitarsi a posizioni esecutive: elementari e medie, licei e commercio abbastanza facili e bachelor licealizzato, con frequenza obbligatoria, test ricorrenti e istruzione di base di tipo aziendale. Per i privilegiati ci saranno sempre «portfolio», «crediti» e soggiorni di studio all’estero. La nascita della scuola media ha eliminato, come ci si aspettava, la feroce canalizzazione, precoce e classista, nel ginnasio e nelle scuole maggiori, ma il suo sviluppo, sezioni A e B prima, e livelli 1 e 2 poi, non è un rimedio peggiore del male (più ipocrita)? Un altro punto: si è commesso lo sbaglio populistico-pedagogico di privilegiare l’aspetto della socializzazione, anziché concentrarsi sul cruciale apprendimento disciplinare: i bambini e gli adolescenti fanno la loro socializzazione in cortile, non in classe. In classe si impara sempre e soltanto una disciplina, il suo metodo e il suo contenuto. È solo con una scuola esigente e difficile che gli umili saranno in grado di riscattarsi: l’aveva scritto don Lorenzo Milani nella mitica Lettera a una professoressa , il testo più letto e meno capito di quegli anni. Carlo Speziali e Giuseppe Buffi sono stati, nella scuola ticinese, i responsabili oggettivi della prima riforma, due uomini di scuola, sopracenerini e radicali, anche se il primo è stato, all’inizio della sua attività professionale, una delle figure più reazionarie di quella scuola che ha portato al 68 ticinese, e il secondo, verso la fine della sua attività politica, per realizzare finalmente l’Università in Ticino, ha ceduto qualcosa alle sirene liberali, leghiste e cielline, coi pipidini a rimorchio. Entrambi i consiglieri di Stato erano dei decisionisti e non hanno permesso ai funzionari di toccare troppo il grande liceo borghese, certamente di classe, nato fra il 1790 e il 1820, a partire dalla Francia napoleonica e dalla Germania hegeliana, che voleva togliere alle Chiese il monopolio dell’educazione secondaria e unificare i lati migliori della cultura illuministica (storia, scienze matematiche e naturali) e della cultura romantica (classicità greco-latina, letteratura ed educazione non solo razionale, ma anche sentimentale). Luca Cavalli Sforza e Roberto Renzetti, studiosi di scienze naturali, dichiarano che «le traduzioni dal greco e dal latino sono state le attività più vicine alla ricerca scientifica, cioè alla comprensione di ciò che è sconosciuto». La baggianata della polemica fra le due culture viene ripresa proprio oggi, quando le scienze naturali ricevono, nel nuovo ordinamento liceale, il compito ingrato di effettuare, nella prima classe, la prima vera selezione che le ragazze e i ragazzi devono affrontare nella loro vita. Gabriele Gendotti non è un uomo di scuola, è un avvocato e, da quando dirige il DECS, a comandare sono i funzionari: Erba, Colombo (prima Nembrini) e Rusconi (prima Martinoni). Con loro ha vinto il pedagogismo, la deformazione concettuale che tende a ridurre al minimo il contenuto disciplinare, e nello stesso tempo a enfatizzare le modalità didattiche di trasmissione dei contenuti. Attenzione! La pedagogia è una cosa seria, con tutte le discipline psicologiche e sociali che l’accompagnano, ma il pedagogismo è una malefica pratica ideologica, che sfocia, prima o poi, nel didatticismo: l’ingegneria pedagogica maniacale, l’abolizione virtuale della disciplina e il suo scioglimento in tecniche asfissianti di analisi esasperate di parti sempre più piccole. Sia ben chiaro: leggere le analisi poetiche di Giorgio Orelli e di Stefano Agosti è un piacere indicibile, per un letterato maturo e responsabile, ma imporre lo stesso tipo di attività su un testo a delle ragazze e a dei ragazzi liceali è perfido, mostruoso e perfino un po’ perverso. Mi piacerebbe che le giovani e i giovani docenti, in formazione presso l’Alta scuola pedagogica o appena usciti, avessero «le ovaie e le palle» (scusate il populismo linguistico, sia pure di sinistra) di esprimere la loro opinione. Per vedere dove possiamo andare a finire, se continuiamo sulla strada intrapresa dai vari Harmos e riforme dell’Ordinanza federale di maturità, basta leggere tre testi meravigliosi: La Scuola raccontata al mio cane , di Paola Mastrocola, ed. Guanda, 2004 (sulla situazione italiana), Diario di scuola , di Daniel Pennac, ed. Feltrinelli, 2008 (sulla situazione francese, originale Chagrin d’école, ed. Gallimard, 2007) e Gocce di splendore , di Fabio Pusterla, ed. Casagrande, 2008 (sulla situazione ticinese).
Articolo nel Corriere del Ticino
del 10.6.2010
di Gian Piero Bernasconi, docente