Nelle interminabili discussioni (sfocianti spesso anche in questa rubrica) sui mali dell’istituzione scolastica è assente quasi sempre ogni riferimento alla vera cultura. Eppure solo l’autentico sapere può salvare la scuola. Se venisse riportato al centro della vita scolastica sottraendolo alla tendenza volta a emarginarlo e contrastando il discredito che se ne fa soprattutto nella comunicazione di massa. Perché ciò che il grande matematico Laurent Lafforgue osserva a proposito della scuola francese vale sostanzialmente anche per la nostra: «Se si considera la situazione attuale in rapporto ad una vera istruzione, all’insegnamento del sapere e alla trasmissione della cultura, la scuola versa in uno stato di profondo decadimento». E Massimo Piattelli Palmarini, un altro uomo di scienza: «Da noi secchione, superdotato, primo della classe sono insulti, non attributi di merito. Invece, i primi della classe (sì, i cosiddetti secchioni) sono tesori da coltivare, investimenti insostituibili per il nostro futuro e dovrebbero essere circondati dalla stessa ammirazione riservata, per esempio, ai migliori atleti». Concludendo che perciò «dovrebbe cambiare la cultura popolare che circonda la scuola».
Dove cultura popolare non è che un eufemismo usato per indicare proprio il discredito egualitarista di massa, cui accennavo. Servono a poco la demagogia verso i genitori, la piaggeria verso gli alunni (i giovani) e il moralismo verso i docenti. Le discussioni infatti non riescono a sottrarsi al punto di vista, diciamo così, sociologico-sindacale, in cui la scuola è vista e intesa essenzialmente come teatro di scontri, più che di incontri, tra categorie sociali. Docenti, alunni, genitori: categorie sociali in competizione improduttiva, non altro. Di rado peraltro i motivi del contendere sono prettamente culturali.
Si dice che gli alunni sono vittime della mancanza di entusiasmo dei docenti. Sennonché oggi tanti giovani si annoiano non solo dentro, ma pure fuori della scuola. Alunni, che dovrebbero guardarsi piuttosto dall’ipocrisia giovanilista dell’adulto il quale, partendo dalla lapalissiana tautologia che «i giovani sono il nostro avvenire», ne deduce che essi hanno diritto ad aver sempre e comunque ragione. E finisce per prodigarsi in smaccata piaggeria nei loro confronti.
E con ipocrisia democratica ed egualitarista si parla di autovalutazione degli alunni o si propongono addirittura valutazioni incrociate dei docenti da parte degli alunni e reciprocamente degli alunni da parte dei docenti. Ma su cosa dovrebbero vertere tali giudizi per risultare oggettivi e credibili? Non è detto. Né tanto meno è detto se al sapere (alla cultura) verrebbe assegnato in essi il ruolo essenziale e determinante che gli spetta. E, poi, ha un senso sottoporre a votazione democratica la capacità d’insegnamento di un docente e la capacità di apprendimento di un alunno? Non saremmo ancora al demagogico «6 politico» di sessantottina memoria?
E dai docenti si pretenda ciò per cui sono davvero indispensabili: comunicare il sapere (la vera cultura). Troppe istanze non confacenti con questo compito sono state man mano anteposte alla richiesta di sapere. Senza parlare della feroce ostilità che verso l’istruzione intesa come «trasmissione del sapere» nutre l’ideologia didattico-pedagogica nota con il nome di Costruttivismo e molto influente anche da noi. Si sono così diffusi, come risulta ormai da numerose inchieste, semianalfabetismo linguistico e analfabetismo culturale. La scuola torni perciò a svolgere il ruolo di sempre e per il quale è stata inventata: la trasmissione e la creazione della cultura, a cominciare da quella alta. Dove non c’è anelito verso alti traguardi non ci può essere entusiasmo. Tanto meno dove per malinteso egualitarismo tutto tende a livellarsi in modo «deprimente» verso il basso.
Secondo il citato Lafforgue, infatti, il venir meno dell’entusiasmo in tanti docenti (e negli stessi alunni) dipende dalla mortificazione subita nella scuola dall’esigenza intellettuale che «è una tensione verso la verità». Dipende dall’odierna pretesa didattico-pedagogica «di definire l’insegnamento in termini di competenze e non di conoscenze». In termini di competenze siamo indotti a «considerare l’alunno (e lo stesso docente) come un mero meccanismo, di cui si vuol programmare e regolare il funzionamento, non quindi come essere umano o persona libera». Mentre le conoscenze stimolano e liberano l’intelligenza.
Per l’insigne politologo Giovanni Sartori il Sessantottismo è stato esiziale in campo scolastico più o meno per gli stessi motivi. Primo: «perché, cavalcando la tigre dell’antielitismo, ha distrutto il principio del merito producendo la società del demerito che premia i peggiori e gli incapaci a danno dei competenti e dei migliori». Secondo: «perché ha predicato l’ignoranza del passato, così recidendo quella trasmissione del sapere che dovrebbe essere la prima missione dell’educatore». Come facciamo a non essere culturalmente sbadati e sbandati se non ci allacciamo al corpus della sapienza tramandata. Verremmo risucchiati da quel nuovismo che spinge soprattutto i giovani a inseguire il consumo nevrotico delle pure novità tecnologiche. E all’origine del fallimento di tanti «nuovi» (aggiornati e inediti) metodi educativi e didattici c’è proprio, per dirla ancora con Lafforgue, il «credersi obbligati ad avere idee nuove su tutto». Nuovismo didattico-pedagogico tanto spesso spacciato per scienza, ma che egli dimostra essere soltanto scientismo (ideologia scientista).
E sempre a proposito di «entusiasmo»: la parola cui molti attribuiscono la virtù taumaturgica di poter salvare la scuola! Senza preoccuparsi minimamente di precisare in che senso essa debba essere intesa. Essendo una delle parole più ambigue e abusate in circolazione. Quale entusiasmo un docente deve suscitare: quello di Socrate o quello dei sofisti? Socrate insisteva sull’esigenza della verità (quindi del sapere) e otteneva consenso in ristretti gruppi (elitari). I sofisti calpestavano l’esigenza di verità e puntavano tutto sulla brama del successo nel mondo dell’apparire, non dell’essere (del sapere): ed entusiasmavano i giovani in massa. Si può infatti suscitare entusiasmo per pura seduzione. Soprattutto oggi quando sembra aver ragione solo chi seduce. E a chi seduce si tende a perdonare tutto: difetti, errori, impreparazione, eccetera. Fu da Socrate però che uscirono Platone, Aristotele e quanto di grande, di profondo e di originale ha prodotto il pensiero (la scuola) occidentale.
Articolo nel Corriere del Ticino
del 20.05.2010
di Giuseppe Laperchia, docente