«Oggi la scuola omologa e appiattisce; perciò non risponde alle esigenze né degli iperdotati né di chi ha meno capacità». È questa la convinzione di Roberto Ritter , per lunghi anni ispettore delle scuole comunali di Lugano. Per Ritter la scuola ticinese è troppo rigida. L’obiettivo dell’integrazione delle differenze è certo una buona cosa, a condizione che non finisca per appiattire tutto. «Si rischia la sindrome del cespuglio, mentre ci sarebbe bisogno di foreste in cui ciascun albero possa raggiungere la sua altezza connaturale». «Ci compiacciamo del fatto che il Ticino abbia soltanto l’1,5% di insegnamento speciale – afferma Ritter – mentre la media svizzera è del 5%. Ma ciò ha conseguenze davvero positive? Il rischio è che i docenti, anziché svolgere il loro compito fondamentale, siano costretti ad occuparsi continuamente di situazioni di emergenza.
Per i bambini iperdotati, la scuola ticinese cosa prevede?
In casi eccezionali il Dipartimento dell’educazione valuta la situazione cognitiva e può autorizzare (con il contagocce) a saltare una classe. Ma l’approccio non è basato su un modello di educazione adattata alla diversità delle situazioni e rispondente ai cambiamenti sociali intervenuti negli ultimi decenni – afferma Ritter.
Il problema degli iperdotati rinvia ad un problema più ampio della nostra scuola.
«La politica scolastica deve fare una scelta di campo. Non è possibile che su di essa ricada il compito di svolgere tutte le funzioni che gli altri settori della società non assumono più – dice l’ex ispettore -. La scuola deve ridiventare un luogo dove si insegna e si impara». E per raggiungere questo obiettivo, occorre creare le condizioni necessarie. Il pericolo qual è? Che gli alunni si abituino a considerare il sapere non come un obiettivo da raggiungere ma come uno scotto da pagare per ottenere utilitaristicamente un certificato. «L’alunno impara presto il suo mestiere: ovvero come cavarsela con il minimo sforzo». E qui interviene la noia: «La noia che spinge il plusdotato cui non si offre la possibilità di rispondere alla propria curiosità a disturbare invece di investire le proprie capacità. E il fastidio del meno dotato che disturba perché ciò che gli si propone non tiene conto delle sue capacità».
Federica Mormando, psichiatra e presidente dell’Associazione Ticinese Individuazione Promozione Talenti, conferma le difficoltà che i bambini iperdotati incontrano in Ticino. «Mi risulta – afferma – che sia difficilissimo anche il semplice «salto» di un anno di scuola elementare». E per molti che hanno già uno sviluppo cognitivo precoce lo choc delle elementari è notevole. «Non solo i bambini iperdotati, ma anche quelli cui sia stato propiziato (o non vietato) l’apprendimento di lettura, scrittura e conto prima dei sei anni, si annoiano in prima elementare. E a meno che non li si blindi in immobilità intellettiva in attesa che i compagni li raggiungano, continuano a leggere a casa e ad avanzare nella conoscenza». Il problema non è solo la noia: questi bambini rischiano demotivazione e difficoltà di integrazione. «Il gap fra loro e i compagni quando assistono a lezioni in parte già note, li induce a demotivarsi. Si perdono così momenti irripetibili della crescita intellettiva e della socialità – sottolinea Mormando – e si facilitano vizi di comportamento e di stile di apprendimento».
Che fare per migliorare la situazione? Federica Mormando sta conducendo in collaborazione con due università italiane , in diverse scuole e con la casa editrice specializzata Erickson, momenti formativi per gli insegnanti e gruppi di studio per programmi in cui gli insegnanti possano rendere utili e piacevoli anche per i bambini molto molto intelligenti le ore della scuola. Un esempio che si potrebbe seguire nel Cantone. (MB)
Articolo nel Corriere del Ticino
del 28.04.2010
di Roberto Ritter e Federica Mormando